Non è la prima volta che il nostro giornale si occupa di violenza di genere, ospitando articoli e riflessioni su un tema che resta di drammatica attualità.
In questo numero abbiamo deciso di dedicare all’argomento la nostra illustrazione in prima pagina. Per noi rappresenta un segnale forte di partecipazione e condivisione, con il quale, grazie alla passione e la spinta di un giornale, proviamo a tenere alta l’attenzione su un fenomeno sociale intollerabile, che va necessariamente arginato, partendo un’operazione culturale che non può più essere rinviata.
Ma c’è un aspetto, in particolare, sul quale mi preme soffermarmi ancora, perché lo ritengo cruciale in uno scenario di violenza e sangue, in cui, troppo spesso, le donne sono lasciate sole, come se il problema fosse in qualche modo solo loro, e non di tutta la società. Intorno alle donne cala spesso un silenzio colpevole, in qualche modo complice di chi si macchia di omicidi e atti di violenza atroci.
Gli uomini, i tanti uomini giusti, che restano in silenzio, sono in qualche modo colpevoli. Non basta più prendere le distanze, non serve condannare (e ci mancherebbe) chi uccide. Bisogna alzare la voce, schierarsi nella quotidianità al fianco di quelle donne costrette a subire piccole e grandi ingiustizie e continui atti di
sopraffazione. Anche una “innocente” battutina sessista, buttata lì quasi per gioco, può essere un primo campanello d’allarme, un segnale che deve spingere gli uomini
giusti, che sono tanti, tantissimi, a prendere le difese della donna, ad ammonire e a far riflettere chi ha mancato di rispetto, anche se in maniera più o meno inconsapevole.
La scrittrice francese Isabelle Alonso dice che “La violenza verbale è la prima tappa della violenza generale contro le donne”. Ecco, partiamo da qui, non dimentichiamolo, mai. Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti in “Palombella rossa”, e possono lasciare il segno, anche più di uno schiaffo.
Marco Grasso